Palazzo Vertemate
Il complesso che comprende palazzo, rustici e un sistema di aree a verde con diversificate caratterizzazioni funzionali sorge all'estremità nord dell'abitato di Prosto, in una posizione isolata rispetto al borgo di Piuro, distrutto da una frana nel 1618.
Grazie alla posizione climaticamente privilegiata, l'antica Roncaglia, si è potuto costruire, oltre al vigneto per la produzione del Vertemate Vino Passito, al frutteto dominato da un'edera monumentale, all'orto, al giardino all'italiana con peschiera in pietra locale, nel versante a valle del palazzo, e al castagneto nel versante a monte. Queste attività sono state mantenute a lungo, sebbene con alterne vicende, in un sito abitato pressoché fino al 1985, quando passò al Comune di Chiavenna per lascito dell'ultimo proprietario.
Fondamentale fonte iconografica, per identificare l'assetto originario del complesso, sono i due dipinti che rappresentano Piuro prima e dopo la frana del 1618. In essi è possibile notare che l'impostazione strutturale della villa e dei fondi, salvatisi grazie alla dislocazione, non ha subito nel tempo variazioni significative. Tra il 1879, quando si estinse la famiglia Vertemate, e il 1902, quando fu acquistata dall'antiquario milanese Napoleone Brianzi, tutta la proprietà andò progressivamente degradandosi, l'arredo disperso, i terreni vennero inselvatichendosi. Il Brianzi curò il restauro e il nuovo arredo del palazzo, introducendovi pezzi d'epoca provenienti da altre dimore, di cui pure rimane solo una parte. Dopo il 1937 la proprietà passò ad A. Feltrinelli e L. Bonomi, che nuovamente la arricchirono di arredi di pregio e le assicurarono la necessaria manutenzione.
Dal 1988 il palazzo è Casa Museo del Comune di Chiavenna, che ha provveduto al restauro delle opere lignee interne, quadri ed alla catalogazione di tutti gli arredi e oggetti contenuti nel palazzo. Nel 1995 il Comune di Chiavenna ha inoltre deliberato di estendere a tutta la componente vegetale del complesso il carattere museale finora attribuito al solo palazzo. Si tratta da un lato di conservare i connotati storici riconoscibili nel sistema vigneto - orto - giardino - frutteto - castagneto dall'altro di riproporre le sistemazioni storicamente accertate (per esempio gli agrumi in vaso disposti tra orto e vigneto); dall'altro infine, di proporre coltivazioni non necessariamente in uso presso il Vertemate, ma caratteristiche dell'area geografica e dell'epoca che esso documenta (per esempio un orto storico con finalità didattiche).
Il complesso Vertemate Franchi si accinge ad essere un polo di interesse culturale a più valenze; accanto a questa globale accezione museale, esiste già la tradizione dei concerti estivi all'aperto, che verrà estesa nell'arco della bella stagione, potenziando e diversificando l'offerta di spettacoli, il vigneto, riattivato, e il castagneto, incentivato, daranno luogo ad una produzione di "origine controllata", di cui i visitatori potranno fruire direttamente. Un'adeguata attrezzatura della balconata che prospetta sul vigneto e sulla valle consentirà di svolgere manifestazioni culturali e mondane in uno scenario di elevata qualità ambientale.
L'edificio, dalle linee eleganti e sobrie, non fa trasparire all'esterno la ricchezza delle decorazioni e degli arredi degli spazi interni.
Varcata la soglia del portale bugnato, con incisi i nomi dei due fratelli che fecero costruire il palazzo e con il loro stemma sulla chiave dell'arco, si entra nell'atrio. Le pareti e i soffitti a volta, come quelli dei locali che vi si affacciano, sono dipinti a fresco. Solo la sala di Giunone ha le pareti rivestite in legno con pregevoli intarsi. Nell'atrio-corridoio, che si apre su un cortiletto che una vite canadese colora di un intenso rosso in autunno, si incontrano le allegorie dei quattro elementi, cui fanno riscontro sulla volta Giunone, Cerere, Bacco e Priapo, che stanno a indicare il rapporto con la terra madre, che dispensa ricchezza e offre protezione per gli orti, le vigne, gli armenti e le api.
Visitando le singole sale, si coglie il sapore di un tempo perduto. Due commercianti nella seconda metà del Cinquecento seppero creare in una residenza di periferia, oggi diremmo nella seconda casa, un ambiente raffinato, senza guardare a spese.
Purtroppo non conosciamo i nomi degli architetti che progettarono e realizzarono il palazzo. Ignoti sono anche gli artisti che eseguirono i meravigliosi soffitti in legno. Per gli affreschi si fanno delle supposizioni. Un tempo li si attribuivano ai fratelli Campi, poi si fece il nome di Giovanni Battista Castello, detto il Bergamasco. Ora si torna a ipotizzare che i dipinti a fresco siano dei Campi, con i milanesi Aurelio Luini e Giuseppe Meda e il bresciano Lattanzio Gambara. I dipinti si ispirano alle "Metamorfosi" di Ovidio. Al piano rialzato si va dall'ampia sala di Giove e Mercurio alla raccolta e luminosa "stua" di Giunone, dove la dea, dall'alto della volta sul carro trainato dai pavoni, assiste alle marachelle del marito. In questo ambiente, dove dopo il 1618 si tennero anche processi contro presunte streghe, si legge in una tarsia l'unica data che si trova nel palazzo: "1577".
Sull'altro sguancio della porta è la sigla dei due fratelli e sopra la porta dello studiolo si legge la scritta INDVSTRIA AVGET IMPERIVM. Questo motto la dice tutta sulla "filosofia" dei Vertemate: il darsi da fare, nel commercio, accresce il potere. Allora, come oggi.
Passando per la sala di Perseo, si torna nell'atrio per salire ai piani superiori. Personaggi della famiglia Vertemate sono ritratti in oli su tela esposti nel corridoio, da cui si accede al "guardaroba", alla camera della signora e alla "stua", che è posta sopra la sala di Giunone. Questo locale è tutto rivestito in legno ed era riscaldato da una stufa tedesca. Si racconta che sarebbe stata approntata, la stanza, per ospitare Napoleone Bonaparte. Si passa poi all'ultimo piano, dove in senso orario si visitano le sale degli amorini, delle arti o degli amori, dello zodiaco, la stanza del vescovo e quella del Carducci. I soffitti sono tutti in legno, uno diverso dall'altro.
Nel corridoio due grandi tele ritraggono Piuro nel suo splendore, prima dalla frana del 1618 e lo spettacolo apocalittico che si presentò ai visitatori appena dopo. Nel salone dello zodiaco, tra altre storie mitologiche, sono rappresentati i segni zodiacali e le attività agricole che caratterizzavano i singoli mesi. Sovrasta un soffitto scolpito in legno che gareggia con quello dell'attigua stanza del vescovo. Qui dormirono sonni più o meno tranquilli alcuni vescovi di Como, quando visitavano la loro ampia diocesi.
Tra questi anche il cardinale Carlo Ciceri che il 3 luglio 1690 consacrò la chiesetta che i fratelli Francesco e Daniele Vertemate avevano fatto costruire in onore di Santa Maria incoronata. La visita del palazzo si chiude con la camera che venne intitolata a Giosuè Carducci, che fu accompagnato a visitare la villa, quando usava frequentare Madesimo per le cure termali.